La conoscenza del passato – e più in generale la dimensione storica che caratterizza tutte le discipline, comprese quelle tecnico-scientifiche – non ha soltanto un valore in sé, ma può svolgere anche una funzione di “demitizzazione” rispetto a concetti, tradizioni, istituzioni e poteri del presente. In particolare, il sapere storico consente di far emergere il carattere artificiale e convenzionale di pratiche e concetti che sono dati per acquisiti e che quindi sono recepiti e accettati come “dati di natura”, quando in verità sono il risultato di elaborazioni e costruzioni sociali e culturali. Dalla seconda metà del Novecento, a quest’opera interpretativa hanno contribuito diversi autori e correnti che hanno rielaborato la lezione classica dello storicismo europeo tra Ottocento e Novecento, rappresentato soprattutto dai nomi di Dilthey, Meinecke, Croce e Garin. A partire dall’esperienza del gruppo delle «Annales» e mettendo al tempo stesso a frutto la lezione di Benjamin e Gramsci, storiche e storici hanno fatto luce sulle vicende di gruppi umani marginali, soggetti a forme di repressione e violenza; hanno mostrato la complessità dei rapporti sociali esistenti tra classi egemoni e classi popolari o subalterne; hanno orientato la propria attenzione a regioni del mondo finora trascurate; e hanno mostrato la non linearità dei percorsi di circolazione di prodotti, conoscenze e persone. Le ricerche e le pratiche che pongono l’accento sul carattere pubblico della storia si sono poi impegnate a diffondere i risultati degli studi condotti in campi specifici al di là dell’ambito specialistico, per giungere a coinvolgere direttamente le comunità civiche. Nonostante gli sforzi, tuttavia, nel discorso pubblico la funzione critica della storia non è sempre riconosciuta: in particolare, negli ultimi decenni, a un interesse quasi esclusivo per il presente si è accompagnata un’indifferenza nei confronti del passato, con il risultato che gli avvenimenti della storia, sia recente sia remota, vengono il più delle volte utilizzati strumentalmente soltanto per rifiutare o giustificare ciò che accade. Si tratta del fenomeno noto come “presentismo”, contro il quale da più parti si auspica il recupero della centralità della storia anche per mezzo di una riflessione delle sue categorie e dei suoi linguaggi.

Autori/autrici principali

Marc Bloch, Eugenio Garin, Paolo Rossi, Carlo Ginzburg, François Hartog, Adriano Prosperi, Sanjay Subrahmanyam, Jean-Pierre Vernant, Natalie Zemon Davis.

Riferimenti bibliografici

Richard J. Evans, In difesa della storia, trad. it. di M. Premoli, Palermo, Sellerio, 2001.

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Jean-Pierre Vernant, Memoria, mito e politica, a cura di G. Guidorizzi, Milano, Raffaello Cortina, 2005.

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François Hartog, Regimi di storicità. Presentismo e esperienze del tempo, trad. it. di L. Asaro, Palermo, Sellerio, 2007.

Natalie Zemon Davis, La passione della storia. Un dialogo con Denis Crouzet, a cura di A. Arru e S. Boesch Gajano, Roma, Viella, 2007.

Marc Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, trad. it. di G. Gouthier, Torino, Einaudi, 2009.

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David Armitage, Jo Guidi, Manifesto per la storia. Il ruolo del passato nel mondo d’oggi, trad. it. di D. Scaffei, Roma, Donzelli, 2016.

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François Hartog, Chronos. L’Occidente alle prese con il tempo, trad. it. di V. Zini, Torino, Einaudi, 2022.

Maurizio Bettini, Chi ha paura dei Greci e dei Romani? Dialogo e “cancel culture”, Torino, Einaudi, 2023.

Mauro Bonazzi, Passato, Bologna, Il Mulino, 2023.

Carlo Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero falso finto, nuova edizione, Macerata, Quodlibet, 2023.

Sanjay Subrahmanyam, Le derive della storia. Identità, nazionalismi, universalismi, a cura di G. Marcocci, Roma, Officina libraria, 2023.

Francesco Benigno, La storia al tempo dell’oggi, Bologna, Il Mulino, 2024.